Cosa pensa circa la situazione del canto e della lirica a Lugano, alla luce della crescita del progetto Opera Studio di Ticino Musica, della grande affluenza ai corsi in Conservatorio e della prossima apertura del Lac?
Il lavoro che in questi anni è stato fatto a Lugano per coltivare la vocalità (in particolare contemporanea), specialmente attraverso il lavoro che ha fatto la professoressa Castellani in Conservatorio, è straordinario e molto conosciuto a livello internazionale. Poi la grande novità è evidentemente l’apertura del Lac. Con questo nuovo contenitore, che potrà dare spazio anche a esecuzioni del repertorio operistico o concertistico-sinfonico che preveda un intervento importante delle voci, credo siano maturi i tempi per poter innestare una scuola che offra anche la possibilità dell’alta specializzazione nel repertorio belcantistico, romantico e verista, specialmente quello italiano, dato che il cantone è di lingua italiana, perché in futuro ci saranno sicuramente degli sbocchi professionali. In questo senso penso ad esempio alla formazione di un coro professionale per tutto il repertorio, non soltanto per il repertorio polifonico (dove c’è già un’eccellenza). Si può dunque immaginare uno sviluppo dei contenuti e dell’offerta artistica per la popolazione e una maggiore offerta di lavoro per i giovani studenti. Mi interessa moltissimo sviluppare questo, in quanto risiedo qui a Lugano già da diversi anni e tra l’altro qui in Ticino si stanno coagulando moltissimi miei colleghi. Il numero dei cantanti in carriera (carriera intesa come quella del repertorio della grande opera, quello più popolare) che gravitano attorno a Lugano è sicuramente in aumento e, perché no, in futuro si potrebbe pensare di riunire le forze per non disperdere questo grande patrimonio di conoscenza.
Che ruolo ha l’insegnamento all’interno della sua carriera? Qual è la peculiarità dell’insegnante di canto, rispetto agli altri strumenti?
All’interno della mia carriera l’insegnamento avrebbe avuto un ruolo molto importante se avessi trovato l’insegnante giusto; questo sarebbe stato un grande sogno all’inizio, perché quando a 19 ho iniziato a pensare di diventare una cantante lirica professionista ero totalmente digiuna di qualsiasi nozione di canto lirico – in precedenza avevo studiato organo, pianoforte, avevo cantato in cori polifonici – ma per me l’opera era una sconosciuta totale. Mi sarebbe piaciuto trovare subito un’insegnante brava, che mi potesse insegnare tutto e bene, invece sono autodidatta dal punto di vista del canto, nel senso che ho cercato di apprendere da tutte le persone con cui ho collaborato, ma non ho avuto un maestro di riferimento che dalla tenera età dei 19-20 anni mi portasse ad essere pronta per i debutti. L’unico musicista che per me è stato appunto un punto di riferimento fu Roberto Benaglio, che era tuttavia un maestro di repertorio” o “maestro di spartito”. Questi sono maestri che insegnano a interpretare, a fraseggiare lo spartito, a farlo proprio, ma non insegnano la tecnica del canto, la respirazione, l’impostazione del suono: quello è un lavoro squisitamente tecnico più fisico che intellettuale, che però è difficilissimo, perché il nostro strumento è il nostro corpo. Per noi tutto quello che si fa con i muscoli e soprattutto con il controllo nervoso crea lo strumento. Ora mi capita di sentire tantissimi giovani, o anche meno giovani, e di trovarmi spesso di fronte a errori macroscopici di impostazione, tali da chiedermi “ma com’è possibile?”, quindi sento anche fortemente la responsabilità deontologica di poter aiutare gli allievi.
Questa è la sua prima partecipazione a Ticino Musica. Quali sono le sue aspettative/cosa l’ha spinta ad accogliere l’invito?
Ho conosciuto Gabor Meszaros alcuni mesi fa in quanto siamo colleghi qui in Conservatorio; mi ha contattato spiegandomi cosa si faceva con Ticino Musica, questo festival di cui conoscevo già la bella offerta di masterclass e il livello dei nomi. Avendo poi conosciuto Gabor personalmente e avendone potuto apprezzare le qualità della persona, oltre che del musicista, così come il suo background culturale sia in campo artistico musicale che in campo organizzativo, ho avuto un’ottima impressione. E poi soprattutto vado molto a istinto e difficilmente mi sbaglio: penso che anche in questo caso l’impressione dell’istinto sia stata la migliore. Ci tenevo ad accettare questa collaborazione anche se sto facendo avanti e indietro da Macerata con un’Aida, che è un impegno enorme, ma lo faccio molto volentieri, perché non volevo rinunciare a una cosa a cui tengo, poiché sono convinta che Lugano abbia degli spazi, delle potenzialità che possono sbocciare in qualcosa di bello, di ancora più bello di ciò che già si fa. Poter fare sempre qualcosa di più è uno dei miei sogni.
Come vive un cantante il rapporto con la propria voce?
Quello con la propria voce è un rapporto di amore-odio. Noi parliamo sempre della nostra voce in terza persona, io parlo addirittura della Cedolins in terza persona, parlando del soprano. La voce è qualcosa che ci è dato, avere la voce è un dono che alle volte ti arriva anche tuo malgrado, un dono ingombrante, che va gestito con equilibrio psichico. E’ una cosa che domina, che condiziona la tua esistenza, un po’ come per i grandi pittori o per i grandi scienziati; è qualcosa che ti porta sempre ad andare verso quella dimensione e questo è bellissimo, ma allo stesso tempo può essere molto tragico. Chi non riesce a gestire questo dono, a farlo diventare strumento di espressione della propria personalità, rimane sottomesso dalla propria voce. Chi non ha una preparazione tecnica solida o l’equilibrio emotivo per gestire questo dono, che sente l’esigenza di esprimersi con il canto, ma non riesce, può cadere in forme di nevrosi e frustrazione. Più che per gli altri strumenti, nel canto voce il suono è totalmente influenzato dal pensiero. Quindi la coabitazione, all’interno di una persona, fra l’artista/la voce e la vita normale, è un po’ complicato, è faticoso, non ci si può mai dimenticare di essere una cantante, non è possibile, come non ci si può dimenticare un pianoforte sotto la pioggia.
Per concludere, ci vuole raccontare un episodio, un aneddoto che le è caro della sua carriera, legato a grandi direttori o artisti con cui ha lavorato?
Vorrei ricordare Lorin Maazel, in segno di rispetto e di omaggio verso questo grandissimo musicista del nostro tempo, scomparso pochi giorni fa.
Più in generale, è bellissimo quando ci si trova a fare musica con grandi musicisti, che siano direttori, strumentisti, orchestre o partner. L’affinità elettiva che subito scatta, questa sorta di scintilla che è molto paragonabile a quello che è l’innamoramento fra le persone, perché c’è proprio un’affinità di anime, di sensibilità, è una sorta di amore sublimato. Tutto questo è molto bello, succede anche nella danza. Con molti grandi artisti si provano queste emozioni, è molto bello quando ci si riesce a fondere nel momento sublime della perfetta armonia, sono momenti di estasi, è la felicità in terra, poi quando si torna alle realtà è sempre un po’ straniante. Quando faccio delle produzioni molto belle, di altissimo livello artistico e quindi di grandissima emozione, il ritorno alla realtà alle volte diventa veramente inaccettabile. Ma non si può sempre vivere in orbita.