Lorenzo Micheli, docente di chitarra al Conservatorio della Svizzera italiana, è uno dei chitarristi più attivi al mondo, sia in campo didattico che concertistico. Questa estate ha suonato a Lugano sia per Ceresio Estate che per Ticino Musica riscuotendo un enorme successo.
La chitarra è uno strumento molto “popolare”, ma per chi intraprende la professione offre meno sbocchi rispetto a strumenti orchestrali. Quali sono i sacrifici peculiari che deve affrontare un ragazzo che decide di fare della chitarra la sua professione (e quindi in parte la sua vita)?
La chitarra è uno strumento paradossale: da sempre è impiegato per accompagnare il canto e la danza, in ogni genere e cultura musicale, eppure da sempre è considerato uno degli strumenti solisti (e quindi “solitari”) per eccellenza. Senza dubbio la sua voce esile ha giocato un ruolo determinante in questo isolamento: niente orchestra (con rare eccezioni), poca musica da camera, una predilezione per gli ambienti raccolti e le sale piccole. Anche se il perfezionamento delle tecniche di amplificazione e la popolarità della chitarra elettrica hanno cambiato le carte in tavola, lo studio della chitarra continua a richiedere un’applicazione e una disciplina di stampo quasi eremitico, e un meticoloso lavoro sui dettagli degno di un artista della miniatura. Anche per questo “Ticino Musica” rappresenta per i nostri studenti un’opportunità preziosa di incontro e di confronto, un modo per mettere il proprio – fondamentale – lavoro individuale al servizio della comunità musicale.
E’ questo il tuo terzo anno a Ticino Musica e come nelle precedenti edizioni il tuo corso è uno dei più gettonati. Rispetto alle altre masterclass che tieni in giro per il mondo, cosa c’è di particolare e forse di speciale qui a Ticino Musica?
Ticino Musica è ben più di un normale Festival: è un atto d’amore per la musica. Nelle aule in cui si tengono i corsi e nelle sale in cui si svolgono i concerti si percepiscono un entusiasmo e un clima di febbrile passione che non credo di aver mai trovato altrove. C’è, credo, una gioia palpabile di “fare musica” che va ben oltre l’atmosfera a volte un po’ austera e asettica che è tipica delle accademie. Ticino Musica è una festa che arricchisce Lugano e gli angoli più belli del Ticino. Conosco pochi altri corsi estivi che offrano un caleidoscopio di seminari, attività e concerti così ricco e di alto livello, senza contare le infinite possibilità di suonare i ragazzi hanno a disposizione.
Alla luce dei traguardi professionali che hai raggiunto, quali sono state le esperienze che nella tua formazione sono state maggiormente determinanti poi per la tua carriera?
Contemplare retrospettivamente quel lungo e complicato percorso che è la costruzione di una carriera musicale è come gettare uno sguardo verso la foresta da cui si è appena usciti: è difficile ricostruire esattamente come siamo arrivati fin qui, eppure ogni singolo passo è stato determinante. Ci sono mille bivi, mille deviazioni impreviste, aggiustamenti di rotta, ripensamenti. Ci sono state tappe che per me hanno avuto il senso solenne di un traguardo, come il primo premio al Guitar Foundation of America Competition, che è il concorso di chitarra più conosciuto del mondo. E ci sono stati – soprattutto – incontri fondamentali. Quando ho conosciuto Matteo Mela, quindici anni fa, non immaginavo che avremmo girato il pianeta insieme, e che il nostro lavoro in duo avrebbe rappresentato una parte così importante della mia vita musicale.
Oltre ad un’intensa attività didattica, hai una feconda attività concertistica. Qual è l’autore che più ami suonare in concerto e perché? Come vivi, cosa ti dà quel “feeling” che si crea con il pubblico nel momento dell’esecuzione?
Alcuni autori mi stanno particolarmente a cuore per ragioni di affinità personale e culturale, a cominciare dal compositore fiorentino Mario Castelnuovo-Tedesco, autore colto e cosmopolita, figura esemplare di umanesimo musicale e prolifico autore di molti capolavori della nostra letteratura. Amo il Seicento italiano, un secolo di meraviglie sonore in cui gli strumenti a pizzico giocano un ruolo di primo piano, che ci ha regalato i capolavori di Ludovico Roncalli e Alessandro Piccinini, e la musica francese per due chitarre, con in testa la Sérénade di André Jolivet. Procedo a zig-zag, per strappi e per fasi, lasciandomi inghiottire di volta in volta dall’opera di un singolo autore o da un’intera epoca. Mi è successo per la musica di Alexandre Tansman, e per la Vienna decadente di Ferdinand Rebay.
Quando vedo mio figlio Pietro ascoltare a bocca aperta quello che gli si racconta, con l’avidità di chi sta scoprendo tutto per la prima volta, penso che esplorare la letteratura musicale sia un po’ la stessa cosa: farsi incantare da una storia fino a smarrirsi. E condividere la musica con un pubblico è un po’ come continuare a raccontare questa storia perché non essa vada mai perduta.