Intervista ad Alessandro Moccia

Violinista di fama internazionale e appassionato pedagogo, Alessandro Moccia unisce una brillante carriera a un profondo impegno nella formazione musicale. In questa intervista, ci racconta il suo rapporto con Ticino Musica e la sua visione dell’insegnamento come strumento per riscoprire l’anima della musica.

 

Lei è una figura di riferimento nell’Academy di Ticino Musica. Cosa rappresenta per lei insegnare in un contesto così dinamico, a stretto contatto con giovani musicisti provenienti da tutto il mondo?
La cosa più entusiasmante per me è che questo è il mio luogo di lavoro anche durante l’anno. Vedere il conservatorio trasformarsi in questo brulichio di giovani musicisti, in un’atmosfera estiva ma tutt’altro che vacanziera, è davvero speciale. L’energia è intensa, si respira eccitazione, c’è urgenza. C’è una vitalità tipica dell’estate e allo stesso tempo una grande concentrazione. È un contesto rapido, denso, spumeggiante. Per me è straordinario vedere questo luogo familiare trasformarsi in un crocevia internazionale di entusiasmo e dedizione.

 

Come cambia l’insegnamento in un ambiente intensivo come quello di Ticino Musica?
Cambia molto. Non si tratta di un normale anno scolastico distribuito nel tempo: tutto si concentra in pochi giorni. Il tempo ridotto impone una sintesi: bisogna arrivare subito al cuore della musica. Il lavoro diventa molto diretto, istintivo, e allo stesso tempo più profondo, perché in pochi giorni si cerca di risvegliare negli studenti un modo diverso di ascoltare e di pensare.

Nel lavoro con gli studenti, cosa cerca di trasmettere oltre alla tecnica violinistica?
Oggi la didattica tende a iper-specializzarsi sull’aspetto tecnico e strumentale, a scapito delle cose fondamentali. Perché facciamo musica? Per comunicare, emozionare, raccontare qualcosa.
Spesso i ragazzi hanno un controllo tecnico anche molto solido, ma non sanno come “dire” le cose più semplici: un’appoggiatura, una dissonanza, una tensione. Mancano i colori, varietà di vibrati e di tipi di suono. È come guardare un cielo dipinto con un solo colore. Se si suona per dimostrare abilità tecnica, saremo sempre superati da chi ha più velocità o precisione.
Anche l’accesso immediato alle risorse online è un grande vantaggio, ma il rischio è quello di restare superficiali e non chiedersi chi è il compositore, quando ha vissuto, per chi ha scritto quel brano.
Io cerco di restituire loro questo senso: fare musica per comunicare, per far sentire emozioni attraverso la ricerca del suono, i colori, le sfumature. La vera arte sta lì. Ma questi giovani hanno una grande energia, una disponibilità, una freschezza. La voglia di imparare c’è. Sta a noi aiutarli a riscoprire il senso profondo del fare musica.

Lei ha una carriera che si è sviluppata tra orchestra, musica da camera e attività solistica. Come convivono questi tre ambiti nella sua identità musicale?
Per me fare musica è fare musica in tutti i sensi, che sia da solista, nella musica da camera, o pure nell'insegnamento. Tendo a non fare distinzione tra le cose. Anche nel mio percorso tra strumento moderno e strumenti originali, non ho mai cercato contrasti o opposizioni. Cerco sempre di integrare tutto in una unica intenzione.

 

Cosa apprezza maggiormente della dimensione di Ticino Musica, che unisce concerti, masterclass e scambio tra generazioni?
Ticino Musica è un contesto straordinario proprio perché tutto converge: insegnamento, concerti, scambi, confronto continuo. Per i giovani è un’occasione preziosissima: suonare con i docenti, assistere a concerti dal vivo, ascoltare le lezioni degli altri. Questo tipo di immersione totale nella musica è raro. Quando studiavo, ho avuto l’opportunità di suonare con i miei insegnanti e so quanto sia formativo.
Inoltre i ragazzi hanno l’opportunità di ascoltare ogni giorno concerti dal vivo. È un arricchimento continuo.

 

Qual è, secondo lei, il ruolo della musica classica oggi? Che consiglio darebbe a chi non è abituato ad ascoltarla?
Continuare a parlare al cuore delle persone. E perché questo accada, i musicisti devono tornare a ricordarsi che si suona per emozionare. Non solo per stupire. Ai giovani interpreti dico sempre: lasciate uscire le vostre emozioni. Solo così potrete toccare chi vi ascolta.
E a chi ascolta dico: non abbiate timore di non “capire” la musica classica. Non è necessario conoscere tutto. Lasciatevi semplicemente trasportare, emozionare, senza decifrare.
Il binomio tra ascoltatore ed esecutore sta proprio in quello: l'esecutore deve riuscire a trasmettere emozioni e non solo controllo strumentale, mentre l’ascoltatore deve lasciarsi prendere dalla musica.

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