Intervista ad Umberto Finazzi

Umberto Finazzi, pianista e direttore d’orchestra di fama internazionale, ha collaborato con alcuni dei più importanti teatri e istituzioni musicali europee, tra cui La Scala di Milano, il Teatro di Strasburgo e l’Opera Nazionale di Tokyo. Da quasi vent’anni è alla guida dell’Opera Studio internazionale "Silvio Varviso", una delle sezioni più prestigiose del Festival Ticino Musica, che ogni estate porta in Svizzera giovani talenti e grandi maestri della musica classica. In questa intervista, Umberto Finazzi racconta l’evoluzione del progetto, le sfide del lavoro con giovani cantanti e le particolarità dell’opera scelta per l’edizione 2025, Il Campanello di Donizetti, che dal 18 al 29 luglio sarà in tournée a Lugano, Locarno, Bellinzona, Sorengo, Novaggio e Magliaso.

 

Quale significato ha per te dirigere l’Opera Studio "Silvio Varviso" in Ticino Musica? Come è cambiato negli anni?

Ticino Musica è un appuntamento importante, sono quasi vent’anni che lo facciamo. Rispetto ad altre opere studio, questa ha una visione precisa: aiutare i giovani a debuttare, ma anche proporre un modo di fare opera storicamente informato, rispettando stile e prassi esecutiva dell’epoca, senza dimenticare il pubblico. Spesso vedo produzioni ben fatte dal punto di vista tecnico, ma poco coinvolgenti per chi ascolta. Noi, invece, puntiamo a un equilibrio: fedeltà allo stile e attenzione a chi sta in sala. È questa la sfida che ci accompagna da sempre. In vent’anni, l’Opera Studio è cresciuta molto, anche gli studenti sono cambiati, ma l’idea di base è rimasta la stessa.

 

Quali qualità deve coltivare oggi un giovane cantante?

Non basta più avere solo la voce. Oggi servono duttilità, musicalità, presenza scenica, capacità di adattarsi. Il mercato è saturo, i teatri diminuiscono, la concorrenza aumenta. Bisogna sapersi promuovere, affrontare repertori diversi, recitare, gestire il palcoscenico. Le qualità richieste sono molteplici: non ci si può più basare su un unico talento.

 

Quali sfide comporta lavorare con un cast internazionale?

Nell’opera buffa, che è quella che affrontiamo più spesso, la sfida principale è linguistica. Il ritmo, i sillabati, l’uso della parola sono fondamentali. Quando selezioniamo cantanti stranieri, sappiamo che servirà molto lavoro, ma l'opera buffa è anche un’occasione straordinaria per imparare a recitare cantando. Spesso i giovani si perdono tra musica e scena: quando si muovono, dimenticano la musica; quando pensano alla musica, dimenticano la scena. Quindi scegliamo opere che li costringano a integrare tutto fin da subito.

 

Quanto spazio c’è per la creatività individuale durante le prove?

Tanto. La creatività individuale è fondamentale. Anche se partiamo da una visione registica e musicale precisa, chiediamo a ciascun interprete di metterci del proprio. Odio le esecuzioni di routine o le imitazioni trovate su YouTube. L’unica strada è partire dal testo, dalla musica, dallo spartito, e costruire il personaggio basandosi su ciò che il cantante è. L’interpretazione deve essere personale, autentica. Ogni cantante mette inevitabilmente qualcosa di sé, e noi lavoriamo proprio su questo: far emergere la verità del personaggio attraverso la verità dell’interprete.

 

Perché "Il Campanello" di Donizetti è adatto a un’opera studio?

Intanto diciamo che Il Campanello è un gioiellino, è un'opera veramente molto riuscita, brillante, piena di energia. Uno dei critici dell’epoca lo definì “musica mai così gioiosa”. È anche molto adatto al lavoro con i giovani: i ruoli sono impegnativi, soprattutto Enrico, e la recitazione è fondamentale. Non c’è tenore, ma due bassi e un soprano: già questa particolarità lo rende interessante. È perfetto per noi perché costringe i cantanti a essere presenti in scena, a unire canto e azione. E poi è bello notare che anche il Festival di Donizetti quest’anno propone con un cast di giovani le stesse opere che abbiamo scelto noi per questi due anni: Rita e Il Campanello. È un’ulteriore conferma che Il Campanello ha tutto per essere un'opera perfetta da opera studio.

 

Cosa può aspettarsi il pubblico da questa produzione?

Di divertirsi. Di passare una serata piacevole, coinvolgente, ascoltando musica bella e ben eseguita. Noi lavoriamo con attenzione per evitare cali di ritmo: vogliamo che il pubblico sia sempre partecipe. L’opera dura un’ora, è un concentrato di energia e buonumore, e in questo periodo ne abbiamo davvero bisogno. I cantanti sono sei, in doppio cast, tutti bravissimi e molto diversi l’uno dall’altro. Ogni personaggio avrà un volto e un’anima diversa, quindi sarà anche interessante vederne due interpretazioni. Secondo me è uno spettacolo da non perdere.

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Tutto pronto per un’estate di grande musica!