Intervista a Pablo Márquez

24 luglio 2021

La sua presenza a Ticino Musica è ormai un punto di riferimento per decine e decine di chitarristi provenienti da tutto il mondo, che ogni anno assistono ad ogni sua lezione, al di là del proprio momento individuale. Qual è il valore aggiunto di questo tipo di lavoro “collettivo”

Il lavoro collettivo crea una dinamica che non esiste nelle lezioni individuali a porte chiuse. La presenza di altri studenti incoraggia una maggiore concentrazione e moltiplica i momenti di apprendimento. Questo permette di esplorare con maggiore profondità una moltitudine di concetti sia tecnici che interpretativi che filosofici: di conseguenza, alla fine di 2 settimane di lezioni, il cammino percorso e scandagliato è molto più profondo, lungo ed interattivo e il repertorio affrontato è molto più esteso. D’altra parte la presenza continuativa di tutti gli studenti evita la necessità di spiegare i medesimi concetti più volte e nel caso si verifichi una ripetizione è sempre un porre in prospettiva questo stesso concetto, non una reiterazione meccanica.

Con quale stato d’animo torni in questo 2021 a Ticino Musica?

Sono molto contento di ritornare ogni anno a Ticino Musica, è sempre un momento intenso di riflessione e di scambio sia con i colleghi che con gli studenti: questo è estremamente importante per me. È inoltre una grande gioia grande tornare a suonare in pubblico dopo la pausa più lunga di tutta la mia vita professionale, quasi nove mesi in cui non ho potuto farlo a causa della situazione pandemica e per ragioni personali.

Il programma del tuo recital prevede tue trascrizioni da Chopin. Qual è il significato del trasporre questo autore, pressoché al 100% “pianistico”, sulla chitarra?

Suonerò due Studi dell’op. 25, il primo e il quarto. Queste sono trascrizioni nate quasi per caso perché lo Studio dell’op. 25 n. 4 di Chopin mi ricordava da sempre lo studio op. 31 n. 20 di Fernando Sor (un compositore e chitarrista protoromantico molto importante), che è nella stessa tonalità di la minore e che tratta lo stesso materiale musicale, lo staccato-legato. Un giorno decisi di prendere la partitura di Chopin per poterla analizzare più dettagliatamente e con mia grande sorpresa scoprii che funzionava molto bene sulla chitarra. In quel momento mi resi conto che Chopin utilizza altri metodi che sono presenti anche nello studio di Sor: l’addensazione degli accordi e i ritornelli. Sor pubblicò la sua op. 31 nel 1827 a Parigi, al suo ritorno dalla Russia. Chopin arrivò a Parigi nel 1830 e poco tempo dopo compose i suoi Studi op. 25. Entrambi vissero nella stessa città fino alla morte di Sor nel 1839 e benché non ci sia evidenza storica che si fossero conosciuti (Chopin aveva 32 anni meno di Sor) non è impossibile che ci sia stato un incontro.

Probabilmente non sapremo mai se Chopin conoscesse lo studio di Sor in questione, ma è un’ipotesi interessante.

La chitarra è vista, in maniera un po’ stereotipata, come uno strumento dal suono delicato. Quali sono, al di là di questa definizione “comune”, i segreti della personalità e del suono della chitarra?

La chitarra è uno degli strumenti con più possibilità di colori, quasi un’infinità di nuances che dipendono dai differenti tocchi. È questo che portò Berlioz a definirla come una “piccola orchestra” e questa ricchezza la rende unica. Per quanto riguarda la delicatezza dello strumento, nella mia esperienza personale, che mi ha portato a suonare in grandi sale, non ho mai avuto problemi a fare arrivare il suono della chitarra fino all’ultima fila. Secondo me il segreto è pensare in termini di proiezione e non di volume. Al giorno d’oggi c’è una forte tendenza a confondere questi due concetti, il che si è manifestato particolarmente nella liuteria. Per questo motivo privilegio l’utilizzo di strumenti tradizionali con un suono forse un po’ più debole, ma che proiettano più degli strumenti moderni. Nel mio concerto a Lugano userò una meravigliosa chitarra costruita nel 1927 dal liutaio di Barcellona Francisco Simplicio.